Dimentica tutto quello che pensavi di conoscere sui LEGAMI tra COLORI e BRAND. Ecco la verità.

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Hai presente quelle belle tabelline con i colori che trovi in tutti i blog dei designer?

Quelle che dicono che rosso significa passione e verde natura?

Ecco, buttale via, dimenticale.

Il perché è presto detto: è giusto che tu imprenditore conosca la verità e non perda tempo a leggere l’ennesimo testo trito e ritrito con informazioni che non ti serviranno a nulla per comprendere il colore giusto per il tuo brand.

Io stessa, nel lontano 2015, prima che molti altri designer si mettessero a “ripetere a pappagallo” quelle che per me erano le regole base del brand design (differenziazione, visual posizionante, lotta all’astrattismo etc…) ho scritto un articolo del genere sui colori.

Quattro anni fa anche io ritenevo che proporre uno schema potesse in qualche modo essere utile, anche se già all’epoca avevo espresso alcuni dubbi a riguardo.

Adesso sono andata a modificare quell’articolo perchè non voglio più far parte della schiera di quelli che “mettono la tabellina coi significati dei colori”, perchè, oltre che scientificamente inesatta ed inutile, ha di fatto banalizzato un discorso che invece è vasto come l’universo.

Ho sempre fatto della ricerca scientifica e del design basato su prove e test (EBD Evidence Based Design) la mia bandiera e quindi non voglio che motivi di SEO o di Content Marketing mi possano far deviare dal dare una corretta informazione sull’argomento.

Di schemi sul colore ne sono stati fatti a centinaia, ci hanno provato Van Gogh, Kandiskji, Goethe e molti altri.

Così per le teorie sul colore, sono a dozzine e tutte diverse fra loro.

Non voglio confonderti le idee ma farti ragionare sul fatto che se c’è un argomento che non si può ridurre a quattro regolette e uno schemino è proprio il colore.

Prendiamo ad esempio il rosso.

Chi è che ha stabilito che significa passione e amore?
O che ricorda il sangue, la guerra, che è adatto ai brand legati al food, etc etc?

Nessuno, anzi. Molti di questi schemi, coniati da Guru o dal Designer di turno che vuole condividere contenuti di valore, finiscono per autocontraddirsi nel giro di un paio di articoli.

Il Rosso ha significato molte cose nella storia, anche passione, anche guerra.

Per secoli però ha significato autorevolezza (pensiamo ai colori dell’Impero Romano), ricchezza, potere, saggezza (è stato usato in molte vesti sacerdotali).

Anticamente si otteneva tramite il genocidio di migliaia di piccoli molluschi (il murice comune) ed era costosissimo da produrre, per questo solo i potenti e i ricchi potevano permetterselo.

Ma se pigiamo avanti veloce nella storia dell’arte e arriviamo tra il Medioevo e il Rinascimento, è il Blu Oltremare che improvvisamente diventa il simbolo dell’autorevolezza e della ricchezza.

Il suo colore infatti era ottenuto da una mistura di lapislazzuli e pietre costose che lo rendevano di prestigio assoluto.

Così nei quadri e nei dipinti i mantelli di Gesù e Maria cambiano colore, dal rosso porpora al blu ultramarino.

Tornando al Rosso, si dice sia un colore forte, che attira talmente tanto l’attenzione che rischia di distrarre le persone dal compito che stanno svolgendo (motivo per cui raramente esistono aule scolastiche con le pareti rosse) eppure esistono diversi studi scientifici che dimostrano il contrario.

Ravi Mehta e  Rui (Juliet) Zhu della British Columbia hanno invece dimostrato che è proprio il rosso che aumenta le performance di task orientati all’attenzione e al dettaglio.

Forse è per questo che le aule di scuola color grigio tristezza hanno sempre depresso le mie capacità cognitive…

Lo stesso studio mostra anche che se si deve fare qualcosa di creativo, di innovativo e nuovo il tutto avverrà meglio se immersi in una stanza… dai colori accesi forse?

No! Dai colori nella gamma del blu!

Ma come?
Non era il colore “freddo” della calma e del relax?
Quello da mettere negli studi medici?

E ancora riguardo al rosso: un altro studio (Buechner et al., 2014) prova che colori ed emozioni lavorano in coppia in modi talvolta inaspettati, fino ad influenzarsi l’un altro.

In questo esperimento venivano mostrate ad un gruppo di donne due tipi di foto di uomini vestiti di rosso: in una gli uomini rosso vestiti assumevano espressioni di orgoglio e self confidence, nell’altra fila di foto invece i soggetti esprimevano vergogna e paura. Il risultato fu che la maglietta rossa associata ad orgoglio e sicurezza aumentava il sex appeal dei soggetti mentre negli altri casi, lo peggiorava.

Come dicevo prima, non è un discorso così banale come tanti designer si ostinano a ripetere.

Inoltre bisogna anche precisare che la percezione di un dato colore, come quella di una data nota musicale, si modifica anche a seconda del colore che gli si pone accanto: così come due note insieme hanno una sonorità diversa che se prese singolarmente, lo stesso vale per i colori.

L’immenso Riccardo Falcinelli ha scritto un tomo fin troppo sintetico (giusto quelle 470 pagine) per narrare di come i colori, anche nella nostra stessa cultura, cambino significato continuamente, anche ora sotto i nostri occhi e per mille motivi diversi.

Falcinelli ci ricorda che «Niente è sempre stato così. Gusti, regole, divieti… tutto cambia. Quello che oggi è inaccettabile, è stato fighissimo in un altro momento e tornerà ad esserlo» (Elena Stancanelli, «la Repubblica»).

Quindi non si può costruire un brand basandosi su inesattezze storiche e scientifiche solo per comparire su Google o per ottenere qualche like su Facebook..

Parliamo allora del giallo, il colore dell’ottimismo, della solarità, quello “vitale” e “caldo” per eccellenza, giusto?

Pare però che queste attribuzioni arbitrarie (che difatti sono state divulgate per anni senza studi e test per provarne l’effettiva validità) abbiano toppato anche qui.

Nel medioevo il giallo era considerato un colore freddo perché associato ad un metallo.

Nel 1973 i ricercatori Adams e Osgood dell’Università dell’Illinois hanno riscontrato che la maggioranza delle persone associava il giallo al concetto di “debolezza”.

Nello stesso studio, il nero, il colore amato dagli squadristi fascisti, uomini che prima agivano e poi facevano domande, viene invece associato alla passività.

Adesso chi glielo dice a quelli di CasaPound?

E il verde? Il colore tranquillizzante degli hippie, che ti fa stare in meditazione zen anche se intorno a te si scatena il pandemonio? Sebbene in effetti molte persone trovino il verde rilassante, molte altre lo trovano eccitante.

Del resto è anche il colore dei soldi giusto? Lo si trova utilizzato sia per un brand appartenente al settore food biologico che per molte compagnie del settore finanziario, dove la natura e il relax non c’entrano nulla.

Se invece utilizziamo un verde più “acido” troveremo chi lo assocerà alla malattia e chi invece cercherà di riprodurre proprio quella tonalità nel suo frullato detox della mattina.

Insomma, tutto questo per ribadire un unico semplice concetto:

“Diffidate da chi desidera rifilarvi la solita tabellina dei colori come “guida”! Non solo perché sia scientificamente sbagliato, ma soprattutto perché rischia di limitare la reale potenza del vostro brand rinchiudendolo in parametri sbagliati.”

Il mondo del Colore è molto più di questo.

Richiede studio costante, ricerche precise, analisi accurate e continue di diversi fattori.

Se vi interessa l’argomento sul serio, cercate su google “studi scientifici sul colore”, vi si aprirà quel mondo che i designer furbetti vogliono ridurre ad una piccola lista banale.

Ad una semplice infografica.

Ovviamente con questo non voglio sminuire nessuno, una conoscenza livello “hobby” tipo la mia sui buchi neri supermassicci, è ben accetta, ma nel momento in cui ho davanti un vero astrofisico con diverse pubblicazioni scientifiche posso fare solo una cosa: tacere e prendere appunti.

Allo stesso modo scegliete con cura il vostro designer e assicuratevi che abbia le giuste skill.

In caso contrario fategli prima leggere questo articolo.

Gli state affidando una cosa preziosissima, il vostro Brand. 

 

Fonti:

http://science.sciencemag.org/content/323/5918/1226
http://doi.org/10.1177/002202217300400201
https://link.springer.com/article/10.1007%2Fs12144-014-9266-x
Cromorama, Riccardo Falcinelli, Ed Einaudi https://amzn.to/2E08Tp0

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